Cambiamenti nel quotidiano: riflessioni di un papà

by SimoneDF

Ci risiamo. Siamo di nuovo bloccati in una bolla che, volenti o nolenti, ci ha risucchiato in questa conosciuta realtà. Di nuovo. 

La cosa che mi ha stupito è il fatto che è diventata una cosa familiare, anche se non mi ha spaventato più di tanto, da un certo punto di vista. 

L’uomo, si sa, è l’animale più abitudinario e pigro. Nonostante ciò, una realtà come quella che stiamo vivendo questo anno, a cui attribuirei un bel colore marrone profondo, lascia il segno. Dentro ognuno di noi genitori, senza dubbio, ma soprattutto nella vita dei nostri piccoli. 

Questa traccia permetterà ai più grandicelli di piantare il seme del COVID e ricordare questa vicenda quando saranno più grandi. 

Paraventolo ha già la pianticella che comincia a crescere rigogliosa. Basti pensare al fatto che si è fatto la prima elementare metà a casa e metà a scuola, con tutte le difficoltà del caso: le sue, ma anche le nostre in quanto genitori! 🙁 

Il ritorno a scuola con la mascherina è stato vissuto come un dramma, nonché l’impossibilità fisica di tornare a giocare come i vecchi tempi con i suoi compagni di scuola. Pensare ai “vecchi tempi”, per un bambino di appena 7 anni, è quasi un controsenso! Eppure è così. 

Nonostante tutto, la meravigliosa età dei nostri figli ci insegna che anche la più brutta delle situazioni può diventare parte di noi ed essere accettata

L’altro giorno mi sono letteralmente pisciato sotto dalle risate. Eravamo in fase di preparazione nanna. Annurchetta mi ha detto, col sorriso sotto i baffi (eh si, che ci volete fa’? Gli estetisti sono chiusi…): “vai a vedere cosa ha scritto sulla pagina del quaderno.” 😉 

Vado in cameretta e trovo un piccolo block notes aperto, con la penna ancora lì dal pomeriggio. “Primo paziente a causa di Covid è morto”. Fantastico! Esilarante! Incredibile! Preoccupante! 

Il pomeriggio, armati di mascherina, i due discoletti hanno messo sul tavolo operatorio un peluche di Winnie de pooh e lo hanno visitato. Niente da fare: a nulla sono servite le punture acuminate sulla capoccia del poveraccio con la matita. 

In principio mi sono scompisciato, poi ho cominciato a riflettere sull’impatto che questa pandemia ha avuto sui nostri figli e su come ciascuno abbia metabolizzato a suo modo questa situazione. 

Se penso che per noi è stato difficile, non riesco nemmeno a immaginare quanto lo sia stato per loro. Loro, i miei figli, i vostri figli, i figli di tutti. Loro, che sono creature innocenti e abitudinarie, che hanno un microclima psicologico fragile e delicato

Basta un’inezia a creare uno sconvolgimento esistenziale, che viene enfatizzato fino al dramma. Figuriamoci doversi adattare a quelle che sono le regole dei grandi che gli impediscono di fare praticamente quasi tutto quello che facevano prima. 

Nonostante tutto si sono adattati al cambiamento al punto di essere parte della loro nuova e temporanea vita, spero. 

Già, lo spero. Un pensiero vola al mio futuro e allo stesso tempo al mio passato. Anzi, il contrario. Ripenso ai miei nonni che non ci sono più, e penso alla mia nonna, che ancora c’è e che mi racconta ogni tanto della seconda guerra mondiale.

Mi racconta di quando stava nell’ovile, di come il suo ricordo annebbiato, a volte, mi proietta in quel mondo così distante. Penso: “cazzo, i miei nonni sono sopravvissuti alla seconda guerra mondiale! Sopravvissuti…!” 

Poi mi metto nei panni di mio nonno e penso che, per fortuna (fortuna?) io non racconterò ai miei nipotini della guerra. Racconterà di quando c’è stata la pandemia, di quando si doveva stare dentro casa e non uscire, di quando portavi la mascherina e non potevi toglierla, nemmeno per andare in bagno in ufficio. 

Lì guarderò negli occhi e poi guarderò negli occhi i miei figli, che ricambieranno e condivideranno quei racconti arricchendoli con il loro punto di vista, di bambini sofferenti. 

Sarà un ricordo passato, sarà quello che volete, ma ormai fa parte del nostro giardino emotivo e bene o male ci dobbiamo prendere cura di lui.

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