“Stefa’, vedo Emanuele un po’ troppo…non so. Lasciamelo prendere in braccio.”
“Si, dammi un secondo. L’ultimo boccone….aaaahhhhmmmm!”
“Mi sembra un tantinello nervoso…si agita come se fosse un tarantolato.”
“E bravo amore di mamma che hai finito tutto! Vai da papà…”
Ci sono cose che i genitori non dimenticheranno mai.
Io non dimenticherò mai la nascita dei miei bimbi, i loro primi passi, i primi spaventi…tante cose. In tutto questo turbine di emozioni e di ricordi ci sono le prime parole di Sereno Poco Variabile.
Era un martedì. Torno stanco ma soddisfatto dal lavoro: è stata una giornata abbastanza proficua, in cui sono riuscito a blindare il risultato su alcuni aspetti in sospeso da un po’.
Paraventolo si sta sistemando sulla penisola per mangiare. Sereno Poco Variabile è sul seggiolone, poco più dietro, imboccato da Annurchetta. È tutto il giorno che dice “mamma” e “papà” e me ne dà subito una dimostrazione: che amore!
Nel giro di qualche minuto mi sciacquo e mi metto in tenuta da combattimento casalingo (pantaloni della tutta e felpone di pile di mio suocero). Entro nell’arena. Saluto e mi siedo accanto a Paraventolo, che sta cominciando ad assaporare le leccornie preparate dalla mamma.
Chiedo al mio piccolo (si fa per dire piccolo, è un torello e magna come dieci elefanti) come è andata a scuola. Due sillabe di risposta e poi, come al solito, lui non parla mentre si mangia: deve mangiare!
Dall’altro lato della barricata Sereno Poco Variabile sorride e allo stesso tempo inarca la schiena e si lamenta. Comincia a roteare come un barbaro inizierebbe a roteare la propria spada in aria. Mi ricorda i movimenti che facevo in sala giochi quando giocavo a “Street Fighter 2” per fare le palle di energia con i vari personaggi.
Mi sa che vuole essere preso in braccio….e allora vieni da papà, che ti riempio di baci! Non riesco a tirarlo su, accidenti! Si inarca come un ossesso e non ne vuole sapere di uscire. Ammazza aho che fatica per cercare di toglierlo da lì. Ho capito che hai mangiato quattro mezzi piattini di pappa, ma la pancia mica è una mongolfiera! Daje un po’, a papà.
Finalmente libero. Ho subito notato che, mentre lo prendevo in braccio, la sua faccia era in contemplazione mistica, tipo Fantozzi quando si perde nel mare con il ragionier Filini. I suoi occhioni grandi erano alla ricerca della figura sacra da contemplare, la sua linguetta piegata a “U” usciva un po’ fuori dalla bocca. Sembrava un bignè di San Giuseppe, con quella pappagorgia.
Lo metto dritto per fargli fare un bel ruttino spacca timpani. Adagio con gentilezza il bavaglino sulla mia spalla. Lui dice di nuovo papà e io me caco sotto di nuovo dalla tenerezza. Momenti indimenticabili…infatti!
Mi giro per chiedere una cosa a Paraventolo mentre Annurchetta sfaccenda.
Non faccio in tempo a dare una pacchetta sulla schiena a Sereno Poco Variabile che questo, con abile mossa, rotea come sul seggiolone e spara dalla bocca un getto di pappa degno del miglior esorcista. Lo spostamento d’aria lambisce il mio povero orecchio. Fiuuu…per un pelo!
Spalanco la bocca per lo stupore, non mi aspettavo tanta veemenza. Non faccio in tempo a girami per avvertire Annurchetta che il disgraziato aggiusta la mira e spara tutto quello che può contro di me.
Indovinate un po’? Un getto, anzi meglio, un’ondata di minestra mi colpisce in pieno la bocca (ma che t’ha fatto papà de male…). Lo tnunami attira gli sguardi del resto dell’allegra brigata. Più che uno tsunami sembra il raggio protonico di Jeeg Robot d’acciaio, sparato però di bocca in bocca. Bleaaaahhh!
Ammazza che fucilata! La mia bocca, investita in pieno, comincia a rilasciare il raggio minestronico, che a cascata dalla barba scende e inonda felpa, maglietta, mutande e pantaloni. Mi sento come Peppa Pig quando salta nelle pozzanghere di fango…magari fosse fango! Intorno non si muove nulla.
Per un po’ non abbiamo parlato. Io non sapevo dove girarmi, né cosa dire. Paraventolo ha aperto la bocca per lo stupore ed è rimasto imbambolato a guardarmi fisso, Annurchetta anche. Mai sentito tanto silenzio in casa nostra.
Mi veniva da ridere (e che voi fa’ in quelle situazioni? Ridi pe’ non piagne’). Poi mi sono girato verso il criminale che avevo in braccio: mi guardava e rideva, scodinzolava come un cagnolino che vuole le coccole.
“Pa-pà”, continuava a ripetere, ridendo con quei suoi occhioni più grandi della luna piena…“Pa-pà”.