“Daje, a papà: è ora di fare i compiti, così ci togliamo il pensiero e hai tutto il week end per giocare”
”Uffa! Non è possibile che dopo 4 ore di tortura a matematica oggi devo fare i compiti! Sniff, sniff! Non è giusto!”
Se c’è una cosa che pensavo potesse essere passabile era il discorso compiti.
Paraventolo ha cominciato con grandissimo entusiasmo la scuola elementare e tuttora è sempre contento di andare.
Ci sono i suoi amichetti, gioca, interagisce, scambia figurine o carte Pokemon. Insomma, fa la sua vita di seienne nel pieno delle sue facoltà.
Tutto fila liscio come l’olio….o quasi.
Ebbene si, il disgraziatello è felice come una Pasqua fino a quando non arriva il momento di fare i compiti durante il weekend.
Basta pronunciare la fatidica parola che subito la sua faccia da bella pacioccona e sorridente si allunga. Comincia a frustarsi col cilicio, a interrogarsi sul perché una piaga come i compiti gli siano capitati sul groppone.
Il ritratto dell’infelicità si impossessa di lui, se prova a mettersi a fare i compiti fa la faccia da cammello, si butta scomposto e di lato al quadernone e prende il sopravvento l’anarchia cinofallica del “faccio le cose alla volemose bene”. Che rabbia che mi viene!
Annurchetta si deprime e nello stesso tempo le cadono le ciocche di capelli, mi guarda con la matita degli occhi sfatta, come se avesse pianto. Poi sospira, se ne va in camera. Io idem (eccetto la parte della matita per gli occhi).
Nel frattempo cominciano i monologhi shakespeariani di Paraventolo, le 4 ore di matematica fatta a scuola sono la punta dell’Iceberg. Essere o non essere….uno sfigato che deve fare i compiti! Lo so, siamo agli inizi e il confronto con la vita vera comincia da queste piccolezze.
Il fatto è che noi genitori cerchiamo di alleggerire questo fardello: ci mettiamo vicino a lui, con tutta la pazienza del mondo. Quando dico tutta la pazienza del mondo intendo davvero la chierica da santo!
Vi lascio immaginare che per imparare una filastrocca di 10 righe (dico: 10 righe) ci ho messo 1 ora e 27 minuti. L’ho cronometrato. Si lo so, sono malato, ma dovevo rendere conto a me stesso e a Paraventolo, dati alla mano, che se avesse fatto bene tutto quel tempo avrebbe potuto giocare.
Altro punto dolente è il fatto che il piccoletto pensa di non essere capace e guai a dargli ragione su questo argomento! È nostro compito rassicurarlo, dargli tutta la nostra fiducia e incoraggiarlo e gioire al primo esercizio fatto bene dopo 5 ore di tortura (in pratica leggere la quantità di oggetti in un riquadro).
Quante volte in questo periodo mi sono messo lì a cercare di sostenerlo, incoraggiarlo, fargli venire la voglia di fare i compiti.
Il mio obiettivo è aiutarlo a instaurare le buone abitudini di fare i compiti appena arriva a casa (ora siamo in alto mare anzi, nella fossa delle Marianne!), di farlo ragionare sul fatto che se fa subito e senza storie tutto poi ha il resto del tempo può fare quello che vuole.
Non è semplice, non so in che modo posso aiutarlo, se non darmi con lui le frustate col cilicio quando sta lì a fare il cammello lamentoso.
La cosa bella è che quando poi ci si mette e si concentra matematica la fa in venti minuti, italiano in minor tempo!
A volte penso: va bene, non fa i compiti, renderà conto alle maestre che non li ha fatti e gli passa la voglia di lamentarsi. Sono sicuro che la prossima volta non lo farà più. Poi penso che a questa età potrebbe avere il complesso dell’umiliazione in pubblico e portarselo avanti come un problema quando crescerà e allora mi placo.
L’idea mi ronza per la testa, ma aspetto che cresca per vedere le evoluzioni. Per ora è presto.
Un altro modo è quello (secondo me sbagliato, ma a volte i genitori le provano tutte) di promettergli un pacchetto di figurine o qualcosa di simile se fanno i compiti e portano un 10 a casa.
Ripeto, è sbagliato e sono propenso a fare queste cose, ma credo che nella vita fare delle prove e sondare tutte le possibilità aiuta a capire la strada da prendere. In questo modo ti rendi conto se ha reali problemi di comprensione oppure è solo la voglia che gli manca.
Questo ce lo possono dire anche i docenti, verissimo se lo avete pensato, ma provare senza farla diventare un’abitudine credo non crei niente d’irreparabile.
Per ora valutiamo come agire, ma nel caso vi venisse in mente qualcosa diverso dalle minacce sarebbe oro colato per la serenità della nostra famiglia!
2 comments
Ciao Simo, avevo letto che ci sono due strade nell’educazione dei figli, punire se non fa o premiare se fa. Credo che bisogni provarle entrambe per capire quale si addice di più al nostro caso, tutti i bimbi sono diversi. Se hai provato la strada del privarlo di qualcosa se non fa i compiti puoi tentare la strada del premiarlo se li fa, regalare un pacchetto di figurine o dare un soldino con cui accumulandoli può comprare un giocattolo magari è la strada vincente. Sicuramente insegna il valore del lavoro e dello sforzo che viene ripagato. Che poi è proprio come andrà la vita. Lavori per guadagnarti quello che vuoi per te.
Ciao Giulia, grazie del tuo prezioso commento! Se devo essere sincero stiamo provando tutte e due le alternative, perché qualche volta sembra che funzioni la privazione, altre volte il contrario. Mi ispira di più premiarlo quando fa qualcosa, coerentemente a quanto è il nostro modo di pensare, anche se ho paura che abituarsi troppo a fare le cose per ricevere un premio lo possa portare, crescendo, a pensare che ricevere un premio gli è dovuto e che perda di vista il “fare le cose per il puro piacere di farle”, senza aspettarsi niente in cambio. Di tempo ne abbiamo per fare esperimenti ;). Un saluto