“Ahò…ma che c’ha Francesco?”
”Non lo vedi? È lì che rimugina, mezzo triste…non vuole andare a calcio”
”Oh li mortacci…ma come? Voleva andare lui e ora non vuole più? Mmmhhh…”
Vi ricordate i 5 minuti d’oro? Quando i figli crescono ‘sti famosi 300 secondi si trasformano in 10 minuti d’oro e cambiano con l’età e le esigenze dei propri pargoli.
La vita del genitore è un continuo crescere, è un camminare in un campo minato e quando scoppia la caccabomba (prendo in prestito il termine da Harry Potter) o apri l’ombrello o ti fai delle sane boccate amare. Bleahhhhh! Meglio l’ombrello!
Ehm…Simo’, mi sai dire se sono già passati quelli con il camice bianco dalle tue parti? Mi sa che c’hai bisogno di un po’ di…aiuto. So’ preoccupato. Deliri, dici un sacco de str…stranezze. Vuoi che chiamo qualcuno?
No no, grazie, sto bene così. Il problema è che questi famosi 10 minuti sembrano sempre una cavolata, una cosa di poco conto. Invece non lo è!
Perché dico questo? Mi è capitato che Paraventolo, l’uomo dal cambio di umore repentino, non volesse andare a giocare a calcio. Ma come? Lo ha voluto lui o no? Sì, lo ha voluto lui. Lo ha scelto Paraventolo in persona dopo qualche anno di fracassamento di maroni.
Eppure non aveva voglia: non amava più il calcio o, per lo meno, non più come prima. Non c’era verso di fargli cambiare idea. Qui è scattato il piano P (cioè il piano papà): andare in camera, prenderlo a mazzate sul groppone minacciandolo di morte e poi trascinarlo all’allenamento.
Ma non è andata così, per fortuna ;). Il fatto gli è (come direbbe Collodi in “Le avventure di Pinocchio”) che il nostro ometto di casa aveva bisogno di attenzioni, di essere ascoltato. Quante volte ce ne scordiamo o sottovalutiamo questo aspetto? Troppe.
Ogni volta che i nostri figli sono tristi o in disparte, in silenzio, in camera, è perché stanno lanciando un velato ma evidente grido di aiuto. Così Paraventolo. Aveva bisogno di parlare con mamma o papà. Aveva bisogno di sentirsi ascoltato, amato, compreso.
Mi sono messo lì, dieci minuti, seduto per terra con lui. Abbiamo detto due cavolate e poi ho chiesto cosa non andava. Lui non voleva andare a calcio, non aveva voglia.
Non è semplice, in questo periodo di Pandemia, dove la normalità è stare a casa e non fare niente: solo compiti, giocare in casa o in giardino (per chi ce l’ha) e niente attività o incontri con amici.
La normalità, gli spiegavo, non è quello che stiamo vivendo ora: la normalità è andare a scuola, stare fuori casa a giocare con amici o parenti, rientrare la sera per cena.
Quella che noi stiamo vivendo come un’anomalia, per loro è una delle prime esperienze di vita coscienziose e di media durata. Una delle prime e, per questo, una cosa da considerare normale. Non è così.
Questo gli ho spiegato. Poi ho cominciato a ricordare di quanto era bravo nel suo ruolo, di come aveva fatto delle belle parate (fa il portiere). Insomma, l’ho incoraggiato facendogli capire che con l’impegno si fanno delle belle cose. E poi ci sono gli amici a calcio.
Alla fine si è gasato ed è stato contento di andare. 10 minuti d’oro puro: ecco cosa sono stati.
Basta così poco che non ce ne rendiamo conto, presi come siamo a correre dietro alle minchiate fotoniche tipo scorrere Facebook o farsi le se…le paturnie mentali chissà per cosa. Non notiamo il grido di aiuto che lanciano i nostri figli quando ci chiedono le cose o quando sono in disparte, pensierosi.
Non lo notiamo o non lo vogliamo notare, perché pensiamo che anche noi abbiamo bisogno del nostro meritato momento di relax: vero.
Se non si è empatici con i propri figli, però, questa necessità di riposo diventa un boomerang affilato e, se non stai attento, ti sega le gambe e tu non riesci più a stare al passo con le falcate delle nuove generazioni.
Quindi antenne dritte e quando è necessario mettere in pausa l’universo ben venga. La semina per un buon raccolto comincia sempre dai dettagli, dalle piccole cose che la vita ci offre.
Il problema della nostra generazione, della società attuale è che siamo invitati a banchettare con le futilità e noi ci lasciamo abbindolare, pensando ” ma sì, che vuoi che facciano 5 minuti?”
Poi però i 5 minuti diventano 10, poi 30, poi un’ora e il nostro muscolo della forza di volontà (che andrebbe sviluppato ogni santo giorno) si indebolisce a tal punto che diventiamo spesso schiavi di qualsiasi distrazione.
Non dico che bisogna sempre, in ogni istante, ascoltare i nostri figli. Dico che dobbiamo soffermarci a riflettere su cosa i nostri bimbi ci chiedono direttamente o indirettamente con i loro gesti, poi agire di conseguenza.
Di ciò me ne rendo conto ogni giorno che passa: quando mi gira il chiccherone e voglio stare in santa pace a volte faccio il sordo e il risultato è che i bimbi fanno più confusione perché vogliono le mie attenzioni (o quelle di Annurchetta).
Quando mi metto lì con loro, li ascolto, anche per soli 5 minuti (che poi diventano 10), ma 5-10 minuti di vera dedizione ed empatia, cambiano dal giorno alla notte. Sono sereni, giocano in maniera più controllata e, diciamolo, spaccano meno i gioielli di famiglia per le cose stupide.
Aria fresca, ecco cosa sono questi 10 minuti. Il nostro cervello respira, tira il freno a mano e tutti in famiglia stanno meglio.